L'integrazione passa anche da qui

Le borse fatte a mano dai rifugiati, l’ora di nuoto per le islamiche, l’aperitivo made in Africa. Sono alcune originali iniziative, nate “dal basso”, per aiutare gli immigrati a inserirsi nel nostro Paese. E noi a conoscerli meglio
di Natascia Gargano scrivile a attualità@mondadori.it

L’Italia di domani sarà sempre più multietnica. Lo dicono i numeri: tra i Paesi dell’Ocse siamo quello che, dal 2000 a oggi, ha visto arrivare più immigrati. Solo nel 2014 ne sono sbarcati 166.000. «Ecco perché dobbiamo favorire la convivenza con culture anche molto diverse dalla nostra» dice Paolo Branca, islamista dell’università Cattolica di Milano. «Oltre a leggi e politiche di integrazione, sono importantissime le iniziative che nascono “dal basso”». Come quelle che raccontiamo qui.
il catering etnico Sulla scrivania imbandita per il buffet aziendale spiccano zighinì e sambusa. Ricette tradizionali africane, come le cuoche che le hanno preparate. Le signore che si occupano del catering M’ama Food sono rifugiate politiche ospiti del centro di accoglienza femminile di via Sammartini a Milano. «Ci siamo resi conto che il cibo è la chiave giusta per ridare dignità a queste donne, abituate nei Paesi d’origine a cucinare per grandi nuclei familiari» spiega Rocco Festa, responsabile del progetto della Cooperativa Farsi Prossimo. Nella cucina di M’ama Food lavorano fianco a fianco nigeriane e sudanesi, egiziane e somale, di tutte le età. E il risultato del loro lavoro arriva sulle tavole di colazioni e coffee break, merende e aperitivi, pranzi e cene, feste di battesimo, comunione e matrimonio. «Molte, terminati i 3 mesi di formazione, trovano lavoro nella ristorazione o nel settore alberghiero» aggiunge Festa. «E, attraverso il loro piatti, fanno conoscere ai clienti italiani la propria storia e il proprio Paese: il cibo è da sempre il modo migliore per avvicinarci a mondi lontani e a culture diverse».

il design “riciclato” Marichia Simcik Arese è una storica dell’arte che da anni si occupa di progetti umanitari con la Spiral Foundation. «Ero stanca di vedere i rifugiati che arrivano in Italia ammassati come scarti umani. Così un giorno sono andata alla stazione Termini di Roma a chiedere a quelli che incontravo se volevano fare qualcosa con me: raccattare la plastica in giro per la città e crearne degli oggetti di artigianato». Oggi Refugee ScART è un vero laboratorio che trasforma materiale di scarto in accessori di moda, borse, cartelle o bomboniere. Si possono acquistare online e in diversi negozi della città. «Usiamo vaschette e bottiglie raccolte nei negozi o portate dalle anziane del quartiere e dai bambini delle scuole. Ricicliamo 250 chili di plastica al mese. Abbiamo preso uno spazio in comodato d’uso e fatto un piccolo investimento iniziale di 1.000 euro per le macchine da cucire» spiega Arese. «Creando degli oggetti con le proprie mani, i migranti si sentono più forti, partecipi e utili alla comunità. E non vengono percepiti dagli altri come un peso. Il 100% del ricavato, inoltre, va a loro: da ottobre 2011 a oggi hanno guadagnato 260.000 euro».

il laboratorio di cucina sana «Prepara il cous cous, specialità araba, ma alla carne di montone, ricca di grassi saturi, sostituisci pollo, coniglio o tacchino» consiglia la biologa nutrizionista Alessandra Borgo. «Oppure prendi a curcuma, spezia dalle proprietà antitumorali, e invece di consumarla da sola abbinala al pepe nero, così viene assorbita meglio dall’organismo». Nei laboratori di cucina organizzati dalla Lilt, la Lega italiana per la lotta contro i tumori, di Milano si fa prevenzione oncologica a tavola. E la tavola è quella di donne filippine, peruviane, arabe e cinesi. «Abbiamo notato l’aumento dell’incidenza del cancro nelle popolazioni che si trasferiscono in un altro Paese» spiega Ilaria Malvezzi, direttore generale Lilt Milano. Contano molto le abitudini alimentari sbagliate: i migranti, spesso in ristrettezze economiche, sostituiscono i cibi sani della propria tradizione con il junk food, che però costano meno. «Noi invitiamo le allieve a privilegiare le materie prime delle loro culture e a migliorarle con le nozioni di una dieta corretta» dice Malvezzi. «Così imparano a vivere il cibo non solo come momento di convivialità, ma anche di tutela della salute».

il Corso di nuoto in burkini La piscina Olimpia di Sesto San Giovanni (Mi) è solitamente chiusa il lunedì mattina. Ma da gennaio, per il secondo anno di fila, una decina di musulmane va a nuotare in burkini, il costume da bagno che copre la testa e tutto il corpo. «Ce lo hanno proposto alcune ragazze arabe che volevano andare in piscina» racconta Sabrina Doulmadji, membro del direttivo del Centro culturale islamico di Sesto. «Esistono corsi di danza o palestre per sole donne. Perché non il nuoto? Così abbiamo chiesto uno spazio per noi». «A quell’ora la vasca era libera, e abbiamo detto sì» spiega Giorgio Oldrini, presidente della Polisportiva Geas,che gestisce le 3 piscine comunali. «Ci sono state polemiche:alcuni sostengono che non si possa riservare la piscina a loro, chiudendola agli altri. Noi invece crediamo che in questo modo non si arrechi danno a nessuno, anzi si offre la possibilità ad alcune donne straniere di uscire di casa,conoscere il quartiere e praticare un’attività sportiva, cosa che magari in un corso misto non avrebbero fatto. Ci è sembrato un passo avanti verso l’integrazione»

www.donnamoderna.com

 




Postata in Dicono di noi Mercoledì 25/02/2015
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